LA MITOLOGIA È REALTÀ

ANTHEA 2016

 

Ogni anno, puntuale, sullo scorcio dell’estate, Roy Leutri viene a farmi visita, - sotto la grande, accogliente “cappa” del mio antico camino - con una cartellina che contiene gli scatti fotografici destinati ad impreziosire il calendario dell’anno a venire: belle ragazze verrebbe da dire, scorrendo il materiale sottoposto al mio giudizio: bellezze esotiche a volte, ma composte, da una filosofia improntata al rigore di una professionalità e di una tecnica che non involgarisce mai il soggetto. Roy non sottrae nulla alla bellezza di un bel corpo femminile, ma lo sfida, piuttosto su di uno sfondo dimesso come le pietre di un vecchio casale della Valcellina o i muri scrostati di una Venezia non turistica; una sfida che non esclude la sensualità di competere con la sfolgorante bellezza di un campo di girasoli, dove la fugacità del tempo, che appassisce le corolle viventi di sole, allude al trascorrere veloce delle vita, anche di quella modella, che sembra nutrita di vento e di luce.

Ho atteso invano l’autunno scorso la visita di Roy, temendo che la sua creatività fosse stata intaccata dalla perdita, assai dolorosa, della sua amata mamma alla quale era legato da un rapporto simbiotico, che ben conoscevo, per essere, a mia volta, da poco stata toccata dallo stesso evento luttuoso.

Ecco, invece, che, a sorpresa, completamente fuori tempo per pensare ad un calendario, Roy si presenta con un mazzo di fotografie, di inattesa forza e di struggente bellezza, scattate a pochi passi da casa, in un complesso agricolo abbandonato, Marzinis, in comune di Fiume Veneto, che, quando il borgo, di proprietà dei Conti Panciera di Zoppola, ferveva di attività, aveva toccato già le corde del Pasolini di “Dov’è la mia patria”.

Anche per Roy, quel paese non suo, ma intensamente amato, che versa in un pietoso stato di abbandono, assurge a metafora di uno stato di vita e viene vivificato nelle foto, scattate con la consueta, magistrale tecnica, dalla presenza di una donna misteriosa, che si disseta al magro cannello di una fontana, che compare e scompare tra le case pericolanti e le finestre ormai rese fatiscenti dall’impietoso lavorio dei tarli. Un fantasma? Una visione? Il volto di un’ava che vuol essere richiamata alla vita? Una madre, che ha perso il figlio o che lo cerca sorridendo mentre quello gioca a nascondersi? Tutto questo, o, forse nulla di questo. Però...

  Bisogna conoscere a fondo Roy perchè si lasci andare a confidenze: la sua innata discrezione e una timidezza di fondo non lasciano mai spazio ad abbandoni biografici, percepiti sempre come fonte di sofferenza irrisolvibile, di imprevedibili affacci su di una vita sua, ma non del tutto, che si concatena a quella degli avi e lì si spezza quando vengono a mancare i contatti. Qui sta il nocciolo della sofferenza e forse il motivo profondo della fotografia di Roy, caratterizzata dalla preferenza per donne circondate dall’aura del mistero: donne che appaiono o scompaiono lasciando una traccia labile di sè, anche se protendono il corpo e il volto per avere la conferma di essere esistite e a che le loro fattezze, dopo aver impressionato la lastra o il rullino, si possano tramandare ai posteri.

Sempre di più assisto a questa quasi spasmodica ricerca di Roy di sè e del suo passsato, quasi impossibile da recuperare oggi, dopo che si è spenta la voce della madre, che aveva conservato con pudica riservatezza, il segreto di famiglia.

- Che Strano cognome “Leutri” -, mi ero detta quando, saranno ormai ventanni, mi venne presentato un giovane, promettente fotografo, che doveva seguire le mie ricerche sul territorio. Solo 20 anni dopo Roy mi ha confessato l’ossessione per un cognome così raro, il desiderio incalzante di conoscerne le origini e, infine, la storia di un infante, vestito di panni non dozzinali, abbandonato -saranno due secoli - sulla ruota di un convento veneziano. Sarà il volto di quell’ava con cui condivide parte del corredo cromosomico a guidarlo nella ricerca di volti femminili, di luoghi incantati e quasi sospesi tra realtà e fantasia?

 

Piera Rizzolatti
Università di Udine

 

 

 

 


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